AfCFTA: l’area di libero scambio più grande del mondo che promette di rilanciare l’Africa

In un periodo storico caratterizzato da dazi doganali, nazionalismi e pulsioni protezionistiche, l’Africa batte un colpo in controtendenza. Dopo due anni di serrati negoziati, lo scorso 7 luglio a Niamey, in Niger, un vertice straordinario dell’Unione Africana ha segnato un traguardo storico, sancendo l’avvio operativo dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA).

Cos’è l’AfCFTA

L’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) è l’accordo che mira a guidare lo sviluppo e la crescita economica dell’Africa, abbattendo le barriere interne tra i Paesi e proiettando il continente ad un futuro ruolo di player economico globale. Ratificato ad oggi da 27 Paesi, l’accordo è stato firmato da 54 dei 55 Paesi africani (praticamente tutti, fatta eccezione per l’Eritrea) e istituisce di fatto la più grande area di libero scambio del mondo. I numeri che lo riguardano sono impressionanti: l’AfCFTA coinvolge un miliardo e trecentomila persone per un Pil complessivo di 3.400 miliardi di dollari.

L’accordo è stato impostato per essere implementato in più fasi, dove il raggiungimento di uno step diventa propedeutico alla realizzazione di quello successivo. L’attuazione dell’accordo sarà quindi graduale, man mano che i Paesi negozieranno schemi tariffari e abbatteranno gli attuali ostacoli esistenti agli scambi di beni e servizi. Così, se da un lato l’accordo promette di sbloccare il potenziale economico dell’Africa, dall’altro potrebbe affrontare un lungo processo per l’attuazione.

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Gli (ambiziosi) obiettivi dell’accordo

L’AfCFTA ha l’obiettivo di favorire l’integrazione economica continentale, creando un mercato africano unico per beni e servizi, con una progressiva eliminazione delle esistenti barriere (tariffarie e non) al commercio e agli investimenti. L’accordo punta quindi a favorire le aziende e le industrie africane, far ripartire il commercio intercontinentale e garantire una crescita dell’occupazione. L’UNECA (United Nations Economic Commission for Africa) stima che l’attuazione dell’accordo potrebbe aumentare gli scambi intra-africani del 52% entro il 2022, arrivando addirittura a raddoppiarli in caso di totale abrogazione delle barriere non tariffarie.

Gli ostacoli esistenti

Il problema principe del continente è certamente rappresentato dalla carente rete infrastrutturale, che incide pesantemente sui trasporti, sulla logistica e, più in generale su tutte le attività economiche e sullo sviluppo sociale del continente. Si stima che l’inadeguatezza infrastrutturale limiti la produttività fino al 40 percento e riduca il PIL del continente di circa un 2% annuo. Svariati studi hanno dimostrato che le scarse infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali aumentano dal 30% al 40% i costi delle merci scambiate tra i Paesi africani, incidendo negativamente sullo sviluppo del settore privato e sul flusso di investimenti esteri diretti. Basti pensare che solo un quarto della rete stradale africana è asfaltata. L’energia rappresenta un altro enorme ostacolo allo sviluppo del continente. Ben 30 Paesi affrontano regolari interruzioni di corrente e solo il 38% della popolazione ha accesso all’elettricità. Le aziende che operano nella maggior parte dei Paesi africani in cui l’alimentazione è inaffidabile hanno fatto ricorso all’acquisto di generatori di corrente diesel per fare fronte ai frequenti e lunghi blackout, aumentando così i costi operativi (e l’inquinamento dell’aria).

A questo si aggiunge la spinosa questione delle barriere protezionistiche tra i Paesi, forte ostacolo allo sviluppo del commercio inter-continentale. Tali politiche generano da tempo paradossi concreti, costringendo all’importazione di prodotti extra-continentali, generalmente dall’Asia o dall’Europa, piuttosto che da Paesi vicini. Perché l’AfCFTA possa funzionare, è quindi necessario un radicale cambiamento di prospettiva da parte dei singoli Paesi.

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Prospettive per il futuro: flessibilità e investimenti

Nonostante le scarse reti energetiche, idriche e di trasporto, ben sei delle economie in più rapida crescita del mondo nel 2018 sono africane. L’Africa si sta rapidamente urbanizzando, la sua forza lavoro cresce di 12 milioni all’anno. Il 70% della popolazione ha meno di 30 anni. Entro il 2034, avrà una forza lavoro potenziale più ampia rispetto alla Cina o all’India. Sarà probabilmente il continente economicamente più dinamico (e più popolato) dei prossimi decenni.

Per sostenere questa crescita sono necessari ingenti volumi di investimenti, non solo intra-continentali: l’integrazione africana deve essere necessariamente sostenuta da investitori esterni. Il mondo dovrebbe guardare strategicamente verso l’Africa, osservando il suo potenziale economico e cercando di fare accordi reciprocamente vantaggiosi. Con la limitazione delle restrizioni agli investimenti esteri, questo scenario è più che plausibile. Un afflusso di capitali stranieri potrebbe inoltre stimolare i sistemi bancari, portando a maggiori investimenti e prestiti al consumo.

Ma gli investimenti esteri da soli non possono bastare. E’ essenziale che i Paesi africani costruiscano un’architettura istituzionale efficiente, partecipativa e inclusiva per non lasciare indietro le economie più deboli. Senza un solido processo decisionale e un trattamento di riguardo nei confronti delle economie più a rischio, l’AfCFTA potrebbe rivelarsi una forza per la divergenza piuttosto che una forza per la coesione.

Investire nella creazione di un ambiente imprenditoriale che aiuti a migliorare la produttività e le competenze delle imprese e dei lavoratori è un elemento imprescindibile per uno sviluppo strutturato. A questo dovrebbe aggiungersi un aumento degli investimenti pubblici per estendere la copertura della protezione sociale, il miglioramento dell’istruzione e dei servizi sanitari. Per aumentare l’impatto dell’accordo commerciale, è inoltre necessario attuare politiche industriali, in particolare quelle riguardanti le PMI e l’industria manifatturiera. Concentrando l’attenzione su produttività, concorrenza, diversificazione e complessità economica.

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