È questo il tema del nuovo rapporto pubblicato dal Global Web Index, che evidenzia una serie di cambiamenti significativi che la pandemia ha suscitato nella mentalità del consumatore digitale, raccogliendo dati sulla popolazione online di 46 paesi.
Il consumatore digitale e la pandemia: Italia, Cina e Corea del Sud a confronto
In questo senso, è particolarmente interessante estrapolare ed evidenziare i dati relativi ai tre mercati che per primi hanno dovuto affrontare la gestione della pandemia: Cina, Corea del Sud e Italia. In questi mercati, l’ultima ondata di coronavirus ha fatto emergere dei temi comuni di cambiamento.
I risultati raccolti sono sorprendenti, se si considera la diversità di questi mercati, sia in termini geografici che demografici, a dimostrazione del fatto che probabilmente sono proprio le condizioni di pandemia globale a guidare determinati mindset tra i consumatori.
La ricerca individua cinque aspetti della nuova mentalità dei consumatori, riguardo la protezione dei dati personali, la reputazione online, le attività offline, la propensione a spendere e l’atteggiamento cosmopolita. La misura in cui queste tendenze si applicano ai diversi contesti nazionali dipende ovviamente dalla cultura locale e dalle particolari risposte dei governi alla crisi. Tuttavia, ci si può aspettare che qualsiasi strategia di business nei prossimi mesi debba tenere in considerazione queste cinque linee di trasformazione.
Le preoccupazioni in materia di dati personali sono diminuite
Dal 2013, è stato registrato un graduale e costante aumento dell’importanza, agli occhi dei consumatori, della protezione dei propri dati personali. Una tendenza che dal primo trimestre 2020 ha visto un crollo inusuale, soprattutto nei paesi colpiti per primi dal Coronavirus.
Questi dati dimostrano che le preoccupazioni relative all’erosione della privacy possono essere superate da quelle sulla sicurezza personale. Infatti, i dati personali sono stati spesso utilizzati per combattere la diffusione della pandemia attraverso le applicazioni mobili di tracciamento dei contatti. Sono molti gli esempi di sistemi per la raccolta dati, dal modello decentralizzato di Google e Apple, progettato per offrire assoluta sicurezza all’utente finale in materia di dati sensibili, fino al sistema adottato in Corea del Sud, che attinge ai dati delle telecamere a circuito chiuso e delle carte di credito. Ciò che suggerisce questo cambio di rotta a livello attitudinale è che i consumatori percepiscono adesso una posta in gioco più alta, considerando i propri dati personali come un bene pubblico, ed essendo quindi disposti a sacrificarne di più di quanto non fossero in passato. Considerato che ogni paese ha adottato misure molto diverse per tener traccia del contagio, ci si può aspettare risposte diverse da parte degli utenti. La Corea del Sud ha effettivamente visto un leggero aumento delle preoccupazioni in materia di privacy nell’ultimo trimestre, mentre in Italia e in Cina sono diminuite del 4% e 8%.
Fonte: Global Web Index – The New Consumer Mindset
L’aperto utilizzo dei dati personali era stato più che altro applicato in via sperimentale prima della pandemia. Facebook, per esempio, nel tentativo di apparire più trasparente nelle sue ricerche dati sugli utenti, ha lanciato un’app, chiamata Study, che permette di pagare gli utenti per la condivisione dei dati sulle loro abitudini di utilizzo di app concorrenti. Il nuovo sentiment potrebbe accelerare la fiducia dei consumatori nella raccolta di dati su larga scala, quando trattati in modo equo e trasparente, portando alla fiera monetizzazione dei dati personali sul lungo termine. Tuttavia, non bisogna sottovalutare la volubilità dimostrata in materia di privacy dal consumatore digitale, con grandi picchi di indignazione registrati nel primo semestre del 2018 – portati in prima pagina a seguito dello scandalo di Cambridge Analytica e poi ritornati al centro del dibattito con l’entrata in vigore del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell’UE – e seguiti da lunghi periodi di stabilizzazione. È dunque possibile che l’attuale generosità estesa alla raccolta dei dati sia temporanea, in particolare se i dati utilizzati nella tracciatura dei contatti finirà memorizzata su server centrali in modo permanente.
L’esclusività, lo status e la reputazione sono molto meno rilevanti
La pandemia sembra aver reso i concetti dello status e dell’immagine personale molto meno rilevanti per i consumatori. Ciò non dovrebbe sorprendere alle porte di una recessione economica, ma sembra anche riflettere la natura e la radice della crisi: un virus che colpisce indiscriminatamente e che tiene le persone dentro le proprie case, quasi azzerando le occasioni per mettersi in mostra. A questo proposito, diversi comportamenti sul web hanno subito un calo drastico negli ultimi mesi, specialmente quelli riguardanti gli acquisti online. Infatti, tra le diverse motivazioni alla base degli acquisti online, a parte la pura necessità, la prospettiva di attrarre like sui social media o di avere contenuti esclusivi registrano un calo significativo nei tre paesi presi in esame. Anche la cosiddetta Brand Advocacy, cioè la volontà di promuovere brand online, risulta sempre meno indirizzata al rafforzamento del proprio status personale, con cali tra il 21% e il 25% in Corea del Sud e Italia. Solo in Cina sembra che l’importanza della online reputation e dell’apprezzamento sui social media siano più difficili da destabilizzare, probabilmente per motivi culturali, con un calo del 5% rispetto al 21% dell’Italia.
Fonte: Global Web Index – The New Consumer Mindset
I dati suggeriscono dunque che i consumatori sono meno interessati a distinguersi dalla massa, e ricercheranno al contrario un senso di solidarietà nella propria attività online. Per questa ragione, tra i migliori esempi di marketing durante il lockdown vi è stata l’apertura di servizi gratuiti, ben dimostrata dal portale web “Solidarietà Digitale” del Governo italiano: una piattaforma progettata per aiutare a mantenere i cittadini istruiti e divertiti durante l’isolamento. Iniziative come questa hanno probabilmente alimentato l’aspettativa che le aziende continuino ad operare in modo più altruistico, focalizzandosi sui valori e sul proprio contributo al benessere collettivo. Anche sottolineare la praticità, piuttosto che valori come l’esclusività, nella promozione di brand e prodotti potrebbe rivelarsi una strategia più appropriata per i prossimi mesi.
Il tempo libero e la fatica dello schermo creano spazio per le attività offline
La pandemia ha profondamente cambiato i ritmi della nostra routine quotidiana, permettendoci di dormire di più e avere più tempo libero. Questo ha certamente avuto un impatto sulle nostre attività digitali, e più in generale sull’equilibrio tra attività online ed offline nelle nostre giornate. Con la riduzione dei movimenti, i consumatori riferiscono di avere meno bisogno di sentirsi sempre connessi online, o anche di doversi tenere impegnati con diverse attività produttive in qualsiasi momento della giornata.
A riempire questo tempo extra durante la giornata, attività come lo streaming televisivo o i videogiochi sono in aumento. Tuttavia, i consumatori stanno bilanciando queste attività con attività offline. I dati mostrano infatti che, dopo un picco iniziale, l’uso dei media ha cominciato a diminuire costantemente, con un calo del 15% nel tempo di utilizzo delle app, a favore di altre attività che variano a seconda del paese. Una delle attività che è cresciuta in modo più significativo a livello globale è la cucina, con aumenti fino al 21% in Cina, mentre la lettura è quella che più ha preso piede in Corea del Sud (anche se spesso, va detto, attraverso le applicazioni).
Fonte: Global Web Index – The New Consumer Mindset
È importante per le aziende essere consapevoli del cosiddetto media fatigue, l’affaticamento da social media, il fenomeno per cui il consumatore digitale desidera allontanarsi dai canali di comunicazione digitale dopo un periodo di sovraesposizione, cui sostituisce attività offline nel tempo libero. Per questa ragione, bisognerebbe considerare nuovi modi per sostenere consumatori che vogliono guardare lontano dai loro schermi, come hanno fatto McDonald’s e Kraft Heinz proponendo i loro puzzle e giochi di logica.
La mentalità del risparmio post-Covid nel consumatore digitale
Fin dall’inizio della pandemia i consumatori hanno percepito che la crisi avrebbe portato ad una recessione economica globale, ma la tendenza all’ottimismo ha fatto sì che solo di recente abbiano iniziato a capire l’impatto che avrà sulle loro finanze personali, dimostrando una inevitabile diminuzione di tutte le spese discrezionali e non necessarie. Il numero di consumatori che si aspettano un forte impatto sulle loro finanze personali è aumentato del 43% dall’inizio della pandemia.
Fonte: Global Web Index – The New Consumer Mindset
Sta emergendo quella che sembra essere una mentalità del risparmio, in cui i consumatori si considerano meno ricchi di prima e rispetto alla media, e anche meno motivati a mostrare apertamente la propria ricchezza. I consumatori in Cina – non esattamente estranei alle grandi spese degli ultimi anni – hanno visto forti cali in questo settore, e potrebbero annunciare un cambiamento di atteggiamento a livello globale. A ciò si aggiunge, parallelamente, una diminuzione della tendenza ad acquistare marchi che i consumatori vedono in pubblicità, indicando un crollo anche della spesa spontanea, e suggerendo che i consumatori potrebbero prendere più tempo per decidere sui loro acquisti in futuro. Si preannuncia dunque una sorta di focus sulla prudenza e sulla responsabilità nello spendere, simile a quanto già osservato dopo il 2008. Purtroppo, le aziende dovrebbero fare i conti con questi trend, soprattutto in quei settori che commercializzano beni non essenziali, cercando un modo per proporre i propri prodotti come pratici e necessari, piuttosto che degli extra.
Orizzonti ridotti: il cosmopolitismo non è più una priorità
Comprensibilmente più preoccupati delle proprie immediate circostanze, i consumatori digitali sembrano interessarsi meno ad altri paesi e culture straniere. Questo non implica un disinteresse verso le questioni internazionali – praticamente tutti riconoscono la minaccia globale – ma i consumatori appaiono più interessati al rendimento del proprio paese durante il momento di crisi. Bandiere appese ai balconi sono diventate quasi un cliché quando si tratta di Coronavirus, e i consumatori sembrano essersi sempre più rivolti verso l’interno, verso il proprio contesto nazionale, ed essere meno propensi ad esprimere attitudini cosmopolite. Questo è vero soprattutto in Cina e in Corea del Sud, dove rispettivamente il 10% e il 13% in meno dei consumatori si dicono interessati a vivere e lavorare all’estero.
Fonte: Global Web Index – The New Consumer Mindset
Allo stesso tempo, i dati offrono prova di un’altra tendenza parallela: i consumatori tendono sempre di più ad esprimere approvazione nei confronti del popolo di appartenenza (più che di ogni altra istituzione nazionale) o di alcuni connazionali in particolare, dimostrando un forte sentimento di solidarietà all’interno del paese.
Questo aspetto può essere uno spunto interessante per le imprese che cercano di navigare il complesso periodo post-Covid. Le imprese possono attingere alle sensazioni di orgoglio e solidarietà nazionale per promuovere il loro brand. Per i fornitori di servizi di viaggio, ad esempio, orientarsi verso una strategia incentrata sui viaggi domestici non è solo pratico e in certi casi necessario, ma anche un significativo modo di connettersi con il consumatore digitale che vogliono essere parte della ripresa del loro paese.