A meno di 80 giorni dalla fine del periodo di transizione, il Consiglio dell’Unione Europea torna a riunirsi per discutere dell’uscita del Regno Unito dal blocco. I colloqui tra le parti, in programma a Bruxelles oggi e domani (15 e 16 Ottobre, ndr) proveranno a scongiurare il famigerato No Deal, ovvero il mancato raggiungimento di un accordo tra le parti.
Sarà forse l’ultima chance per trovare un accordo commerciale, anche se le possibilità sembrano ridursi giorno dopo giorno, mentre le parti stanno già esplorando possibili soluzioni volte a “limitare i danni” del mancato accordo. Una delle ipotesi che si sta facendo strada, è quella di una serie di ‘mini-deal’ ovvero di mini accordi che risolvano singolarmente alcuni nodi tra le parti. Questo per evitare i temuti effetti di un No Deal e tamponare gli effetti immediati della Brexit.
“Vogliamo fidarci del Regno Unito, ma quello che abbiamo visto nelle ultime settimane è estremamente preoccupante”, ha dichiarato lunedì il ministro francese per gli Affari europei Clement Beaune ai giornalisti. “Dipenderà da come il Regno Unito si impegnerà ad essere un partner di fiducia negli anni a venire”.
Nel frattempo, un nuovo rapporto di Best for Britain presenta alcuni dei possibili scenari nel caso di un ‘No Deal’ dal 1° gennaio.
Caos al confine
Lasciare l’Europa senza un accordo potrebbe essere un colpo fatale per le imprese, con code fino a 7.000 camion a Dover che ritardano scambi commerciali di vitale importanza.
Il rapporto, intitolato “La Gran Bretagna nel 2021”, afferma: “Il governo vuole utilizzare un sistema di ‘Smart Freight’, che permetta ai camionisti di presentare tutti i documenti elettronici necessari in un’app. Ma sembra improbabile che queste soluzioni tecnologiche siano pronte in tempo, con la conseguente formazione di code massicce a Dover per il controllo manuale dei camion.
Gli autori continuano: “Gli agenti di frontiera non sono attrezzati a sufficienza per controllare ogni camion che arriva nel Regno Unito dall’UE. Saranno necessari visti e permessi di guida per i conducenti di camion, controlli doganali e tariffari per le merci e controlli sulla sicurezza degli animali e degli alimenti. Ognuno di questi controlli è di competenza di un dipartimento governativo diverso, ognuno con il proprio sistema di monitoraggio informatico, il che rende il sistema generale piuttosto complesso”. Anche l’associazione degli autotrasportatori solleva preoccupazioni circa i ritardi alle frontiere, in un senso e nell’altro.
Gli autisti britannici che esportano merci verso l’UE dovranno infatti richiedere licenze e permessi, e le associazioni di trasporto dovranno assicurarsi che l’autista sia idoneo a guidare all’estero, controllare e conformarsi alle norme relative alle specifiche merci trasportate, oltre ad avere i giusti documenti di esportazione per tali merci.
Tariffe alimentari e aumento generale dei prezzi
Best for Britain osserva che in uno scenario ‘No Deal’, e secondo il “Global Tariff system” del Regno Unito, le tariffe saranno immediatamente applicate ai prodotti alimentari di base, portando a un immediato aumento dei prezzi: “I generi di prima necessità come i pomodori in scatola e la pasta sono destinati ad aumentare del 10-20 per cento in termini di prezzo reale. Un pacchetto di pasta, ad esempio, che potrebbe costituire la base di un pasto economico per una famiglia di cinque persone, passerà da 53 pence a 65 pence”.
Anche i prodotti in scatola costeranno di più. Prendendo un caso di studio: “Il Regno Unito non ha la capacità di produrre le lattine di metallo per qualsiasi prodotto in scatola. Anche se il Regno Unito investisse nella coltivazione, nella lavorazione e nell’inscatolamento dei pomodori, i pomodori in scatola sarebbero comunque soggetti a un dazio per l’importazione della lattina. Il materiale costitutivo dei pomodori in scatola, il concentrato di pomodoro, comporta un dazio del 14,4%, o l’equivalente di 8-10 pence al chilo sulla materia prima”.
Gli autori aggiungono: “Anche se questi possono sembrare piccoli aumenti del costo della vita, avranno un impatto significativo su diverse famiglie e regioni del Regno Unito, che si troveranno già ad affrontare gli effetti di una recessione indotta dalla pandemia di Coronavirus”. Carne e latticini saranno particolarmente colpiti: “Dal primo giorno di ‘No Deal’, gli esportatori richiederanno un “certificato sanitario di esportazione” per portare qualsiasi prodotto animale nell’UE. Ciò significa che tutte le uova, i prodotti lattiero-caseari, la carne e il pesce devono essere controllati. Si stima che saranno necessari fino a 1,9 milioni di certificati da rilasciare per accompagnare i prodotti alimentari destinati all’UE. I certificati devono essere firmati da un veterinario ufficiale o, in alcuni casi, da un funzionario di supporto alla certificazione.
“Non è ancora chiaro se il Regno Unito abbia abbastanza veterinari qualificati o CSO per effettuare i controlli necessari a rilasciare sufficienti certificati sanitari per l’esportazione”, commenta Best for Britain.
Di conseguenza, il cibo importato arriverà probabilmente in ritardo sugli scaffali, con un rischio evidente per le merci deperibili. I pezzi per i produttori saranno in attesa al confine. E le imprese vedranno nuove formalità amministrative alla dogana. Nel frattempo, mentre sembra che la pandemia si scatenerà, i farmaci vitali saranno ritardati.
In caso di No Deal tra il Regno Unito e l’Unione Europea sulle misure doganali, la fornitura del Regno Unito di dispositivi salvavita e di forniture sensibili al fattore tempo, come i radioisotopi medici (usati per la cardiologia nucleare e per l’individuazione dei tumori) rischia di essere messa a repentaglio.
Tra gli altri strani effetti di un No Deal, i prodotti alimentari e le bevande “protetti” perderanno il loro trademark status – il che costituirebbe un duro colpo per le aziende britanniche di whisky scozzese o dei pasticcini della Cornovaglia.
E ancora, gli inglesi che vivono all’estero potrebbero veder chiudere i loro conti bancari nel Regno Unito, mentre le qualifiche professionali britanniche potrebbero non essere più riconosciute nell’UE.
I sondaggi condotti da Best for Britain rivelano che due terzi (64%) degli intervistati hanno dichiarato una forte preoccupazione per i possibili risvolti del No Deal.