Le conseguenze della guerra in Ucraina per le imprese italiane: i settori più colpiti

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Ad una settimana dall’invasione russa ai danni dell’Ucraina, i governi di tutto il mondo hanno approvato alcune delle sanzioni più dure e coordinate della storia contemporanea. E le aziende in affari con Mosca si preparano alle conseguenze della guerra in Ucraina.

Nelle ultime settimane, molto rapidamente, progetti da miliardi di dollari sono stati fermati, molte banche russe sono state bloccate dall’uso di SWIFT, i rapporti con la Banca centrale russa sono stati vietati, e potenti membri della cerchia ristretta di Vladimir Putin sono stati sanzionati individualmente.

Le conseguenze di tali provvedimenti per le imprese che lavorano e investono in Russia, indipendentemente dal risultato dell’invasione, modificano in maniera sostanziale l’ambiente commerciale dell’area.

Le aziende direttamente coinvolte stanno già prendendo importanti decisioni strategiche, con un ritmo senza precedenti. E sono numerose le imprese che – dopo partnership lunghe decenni – hanno optato per tagliare definitivamente i legami con la Russia.

E, anche per le aziende non direttamente toccate dal conflitto, queste sanzioni avranno un impatto globale e a lungo termine – non solo sul loro business, ma anche sulla capacità di gestire la crisi.

Le sanzioni a venire: le aziende sono pronte?

Per la maggior parte delle aziende con investimenti e operazioni in Russia, l’invasione dell’Ucraina è certamente tragica ma non totalmente inaspettata – specialmente per le imprese che già stavano lavorando nell’area nel 2014 – quando si verificò l’attacco della Crimea.

I leader di queste realtà imprenditoriali erano già consapevoli dei rischi associati al fare affari in Russia. Eppure, anche le aziende più consapevoli – e con piani di emergenza già stabiliti – sono state colte di sorpresa dalla velocità con cui gli eventi si sono susseguiti nelle ultime settimane.

Questo è parzialmente dovuto al fatto che le sanzioni adottate sono state veloci e severe, per molti versi senza precedenti, e hanno costretto le imprese a prendere decisioni rapidamente.

E, qualunque sia la risoluzione dell’invasione russa, gli investitori e le imprese sono costretti rivalutare strategie e modelli da adottare. La sfida per i manager oggi è quella di essere pronti non solo per le conseguenze di questo conflitto, ma più in generale di sviluppare una strategia responsabile, flessibile, capace di reagire rapidamente a situazioni di crisi come quella in corso.

Quali sono le conseguenze della guerra in Ucraina per le imprese italiane?

Tra le conseguenze economiche provocate dal conflitto in corso, i flussi commerciali e di investimento saranno intensamente coinvolti a livello internazionale. Le sanzioni imposte alla Russia non hanno solo ricadute dirette, causando una drastica riduzione del flusso di import/export, ma avranno anche un impatto indiretto sui legami produttivi e commerciali internazionali.

Con una situazione economica globale già messa a dura prova durante la pandemia, quali sono adesso le prospettive per gli scambi internazionali? Quali gli orizzonti per le imprese esportatrici e per gli investimenti italiani?

L’interscambio commerciale Italia-Russia

Sono più di 15mila le imprese italiane in affari con Mosca e Kiev che oggi seguono con il fiato sospeso l’evoluzione della guerra in Ucraina.

Mosca rappresenta il 14° mercato di esportazione per Made in Italy, con un trend generale già in discesa dal 2014: le sanzioni che colpirono la Russia dopo l’aggressione della Crimea determinarono un significativo spostamento del business e il valore complessivo dell’interscambio passò da 10,8 miliardi (2,8% del totale di vendite all’estero) del 2013 ai 7 miliardi (1,5% del totale export) rilevati da Istat nel 2021.

Il rapporto commerciale Italia-Russia appare sbilanciato: nei primi 11 mesi del 2021 l’Italia ha importato beni per un valore di 2,9 miliardi dalla Russia, esportandone ‘solo’ per 1,9 miliardi.

Dalla Russia l’Italia importa prevalentemente combustibili fossili (gas naturale, petrolio e carbone) per coprire il fabbisogno energetico interno. A questo si aggiungono i prodotti metallurgici e chimici, derivati del petrolio, ma anche carta, legno e prodotti per l’agricoltura, tra cui mais, soia e grano.

Al contrario, l’Italia esporta in Russia principalmente macchinari e apparecchiature meccaniche (quota maggiore dal valore di 2 mld dei 7 totali). Seguono l’abbigliamento i brand di alta moda (con una quota significativa da 1 miliardo di valore annuo), i prodotti di design, i mobili e le lavorazioni in pelle. Non da meno, anche l’esportazione di prodotti farmaceutici, le apparecchiature elettriche, ma anche i prodotti agroalimentari, in particolare il vino e la pasta – molto apprezzati in Russia.

L’import pesa molto più dell’export

I numeri dell’export Made in Italy verso la Russia restano in ogni caso contenuti e, come spiegato, avevano già subito una drastica riduzione a partire dalla crisi della Crimea. Molto più complessa la situazione rispetto all’import di materie prime e beni dalla Russia.

Se da un lato il contraccolpo energetico sarà generalizzato su tutti i comparti produttivi, è evidente che alcuni settori soffriranno in maniera più significativa delle sanzioni imposte alla Russia.

Oltre alle problematiche legate alla dipendenza italiana dai combustibili fossili russi, il nostro paese potrebbe riscontrare problemi anche nella fornitura di metalli (ferro, antracite, rame, metalli preziosi…) e di prodotti per l’agricoltura, come i cereali per gli allevamenti e materie prime per la produzione di fertilizzanti.

I settori più colpiti dalla guerra in Ucraina

Il settore turismo in Italia – che a causa della pandemia era già stato messo in ginocchio, registrando nel 2020 un -80% del fatturato – trema di fronte alle nuove incertezze scatenate dalla guerra in Ucraina. Basti pensare che il milione e mezzo di turisti russi che hanno visitato il Bel Paese nel 2019 hanno contribuito al settore con ben 1 miliardo di euro spesi.

Ma le conseguenze della guerra in Ucraina per le imprese italiane non finiscono qui, e si faranno sentire lungo tutto lo stivale in diversi comparti produttivi. Le regioni più colpite in valore assoluto sono Lombardia, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Marche.

Secondo i dati dell’istituto Tagliacarne l’esposizione massima è delle aziende delle Marche, con valori quasi raddoppiati rispetto al resto d’Italia: qui il valore dell’export è pari al 6,7% del totale. In particolare è il distretto delle calzature di Fermo a soffrire, con aziende che da anni hanno instaurato relazioni di export con la Russia e ora affrontano problemi legati alle sanzioni, ordini bloccati, pagamenti impossibili da effettuare.

Dopo le Marche è il Nord Est ad essere particolarmente colpito: l’area muove poco meno della metà del suo export verso la Russia. Qui è Vicenza la provincia più esposta, dove il 50% dell’export è diretto in Russia, specialmente per ciò che riguarda le calzature di lusso, seconda soltanto a Milano per volume esportazioni verso Mosca.

Le aziende dell’alimentare dell’Emilia Romagna – che già avevano riorganizzato (e ridotto) il loro commercio verso la Russia dopo la crisi del 2014 – potrebbero allo stesso modo subire un duro contraccolpo. E, sempre in regione, i comparti ceramici di Sassuolo e Faenza potrebbero subire l’aumento dei prezzi o la scarsa reperibilità di materie prime necessarie per le loro produzioni.

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